Questo pomeriggio sono stata in una casa di riposo a suonare. Complice la chiusura della superstrada, con il conseguente traffico caotico sulla provinciale, ho deciso di andarci con i mezzi pubblici, chitarra in spalla. È stato così che, passando per la stazione, ho incontrato quello che chiameremo Mahmood, un giovanissimo migrante che ho conosciuto tempo fa in comunità. Non lo vedevo da qualche mese, da quando il mio nuovo lavoro non mi ha più consentito di frequentare la comunità in cui, quasi tre anni fa, sono entrata come musicoterapista per poi rimanere come volontaria tenendo un laboratorio di pasticceria. Mi ha raccontato che ora si è trasferito, ha trovato una casa. Gli ho detto che ero contenta per lui e lui mi ha risposto che lui era contento per me e per il mio nuovo lavoro. Ci siamo stretti la mano, nel salutarci, e ho pensato a quando l’ho conosciuto, impegnato nello studio dell’italiano che ora parla meglio di tanta gente nata qui, a quando mi raccontava di voler trovare un lavoro, a quando tornava e veniva a salutarmi e a chiedermi come stavo, sempre con un sorriso pieno di gioia e di gratitudine, fosse anche solo perché gli chiedevo a mia volta se stava bene o per un rammendo sui pantaloni. Una volta sola l’ho visto meno sorridente, quando dopo le ultime elezioni temeva che davvero potessero cacciarlo dall’Italia. A parte quello, mi sono spesso chiesta che motivo avesse di essere pieno di gioia e gratitudine uno che aveva dovuto scappare dal proprio Paese per finire in un posto lontano dal suo mondo precedente dove la gente che avrebbe voluto rigettarlo in mare fa molto più rumore di quella (senz’altro più numerosa) che lo vorrebbe qui.
Con una bella camminata, dopo aver salutato Mahmood, così l’abbiamo chiamato, ho raggiunto la casa di riposo. Ho suonato, abbiamo cantato tutti insieme, ho ringraziato i miei trascorsi da aiuto-rifugista in Val Meria grazie ai quali ho imparato quei bei canti di montagna che vengono sempre buoni in queste occasioni (e comunque, alla “Canzone dello Spazzacamino” manca sempre qualche strofa e ce ne si accorge sempre solo alla fine…) e poi c’è stata una piccola lotteria. Al termine, un signore che chiameremo Antonello, che raggiungerà tra poche settimane il traguardo dei cento anni, mi ha regalato il premio che aveva vinto, una saponetta al latte e olio toscano… una saponetta di un certo livello, insomma, non di quelle da supermercato. “Posso regalargliela? – mi ha chiesto – Alla cantante, perché è stata qui a cantare con noi”. Chissà quante persone ha incontrato, quanti eventi ha vissuto, in un secolo. Eppure, oggi, ha deciso di regalare proprio a me un piccolo gesto colmo di gratitudine.
E all’improvviso il cerchio si è chiuso. Perché il signor Antonello con questo gesto mi ha spiegato molto del sorriso colmo di gioia e gratitudine di Mahmood, così li abbiamo chiamati: e la domanda giusta non è “che motivo avesse lui di essere pieno di gioia e gratitudine”, ma “che motivo ho io per non essere piena di gioia e gratitudine?”.
Due incontri che sono avvenuti grazie alla musica, al mio essere musicoterapista e musicista, ma anche grazie a qualcosa di imprevisto: una superstrada bloccata, un autobus che ti obbliga a passare dalla stazione ad una certa ora, un numerino estratto casualmente. Coincidenze? A me piace definirle, come ho letto da qualche parte e ahimé non ricordo dove, Dio-incidenze: cioè il modo in cui Dio, scegliendo di restare in incognito, incide sulla nostra vita.
Porto a casa che si raccoglie quello che si semina, e si raccoglie il doppio, il triplo, il centuplo fors’anche. Se quel poco di tempo che doni lo doni con amore e gioia, puoi solo ricevere in cambio gioia e amore. Non è vero che a comportarsi bene, o semplicemente in maniera civile, come se non esistessero categorie, bianchi e neri, giovani e anziani, noi e loro, si trova solo gente che se ne approfitta: certo, bisogna imparare la differenza tra comportarsi in un certo modo e farsi prendere per il culo, e certo prima d’impararlo il naso lo si pesta pure, qualche volta. O forse, anche quelle, sono solo Dio-incidenze: come se Dio non volesse farci imparare una lezione a memoria, ma volesse farcela comprendere.
Con una bella camminata, dopo aver salutato Mahmood, così l’abbiamo chiamato, ho raggiunto la casa di riposo. Ho suonato, abbiamo cantato tutti insieme, ho ringraziato i miei trascorsi da aiuto-rifugista in Val Meria grazie ai quali ho imparato quei bei canti di montagna che vengono sempre buoni in queste occasioni (e comunque, alla “Canzone dello Spazzacamino” manca sempre qualche strofa e ce ne si accorge sempre solo alla fine…) e poi c’è stata una piccola lotteria. Al termine, un signore che chiameremo Antonello, che raggiungerà tra poche settimane il traguardo dei cento anni, mi ha regalato il premio che aveva vinto, una saponetta al latte e olio toscano… una saponetta di un certo livello, insomma, non di quelle da supermercato. “Posso regalargliela? – mi ha chiesto – Alla cantante, perché è stata qui a cantare con noi”. Chissà quante persone ha incontrato, quanti eventi ha vissuto, in un secolo. Eppure, oggi, ha deciso di regalare proprio a me un piccolo gesto colmo di gratitudine.
E all’improvviso il cerchio si è chiuso. Perché il signor Antonello con questo gesto mi ha spiegato molto del sorriso colmo di gioia e gratitudine di Mahmood, così li abbiamo chiamati: e la domanda giusta non è “che motivo avesse lui di essere pieno di gioia e gratitudine”, ma “che motivo ho io per non essere piena di gioia e gratitudine?”.
Due incontri che sono avvenuti grazie alla musica, al mio essere musicoterapista e musicista, ma anche grazie a qualcosa di imprevisto: una superstrada bloccata, un autobus che ti obbliga a passare dalla stazione ad una certa ora, un numerino estratto casualmente. Coincidenze? A me piace definirle, come ho letto da qualche parte e ahimé non ricordo dove, Dio-incidenze: cioè il modo in cui Dio, scegliendo di restare in incognito, incide sulla nostra vita.
Porto a casa che si raccoglie quello che si semina, e si raccoglie il doppio, il triplo, il centuplo fors’anche. Se quel poco di tempo che doni lo doni con amore e gioia, puoi solo ricevere in cambio gioia e amore. Non è vero che a comportarsi bene, o semplicemente in maniera civile, come se non esistessero categorie, bianchi e neri, giovani e anziani, noi e loro, si trova solo gente che se ne approfitta: certo, bisogna imparare la differenza tra comportarsi in un certo modo e farsi prendere per il culo, e certo prima d’impararlo il naso lo si pesta pure, qualche volta. O forse, anche quelle, sono solo Dio-incidenze: come se Dio non volesse farci imparare una lezione a memoria, ma volesse farcela comprendere.